Scuola, istruzione e merito (una critica)
Quando pensiamo al merito pensiamo a qualcosa di giusto, di legittimo, di dovuto. Chi non ha detto almeno una volta “mi merito una bella vacanza”.
La società impone un ritmo di produzione talmente elevato che la produzione stessa, sia essa di beni o servizi, non è il fine ma un mezzo per arrivare ad un premio. Non abbiamo bisogno di produrre, abbiamo bisogno di premiarci. Il premio non é lo stipendio a fine mese ma è cosa con esso possiamo fare, cosa ci possiamo comprare, come ci possiamo premiare. Un premio per lo sforzo di aver fatto qualcosa che nella maggior parte delle volte non sappiamo neanche se ci piace fare.
Con la XIX legislatura, si è deciso di aggiungere la parola “merito”, accanto a “Ministero dell’istruzione”, scelta che fa rabbrividire perché fa pensare agli studi di Pavlov. Pavlov è il capostipite della psicologia comportamentale, cominciò a studiare il comportamento sugli animali. Osservò che se diamo un premio, come del cibo, ad un cane dopo che questi ha compiuto un’azione, egli tenderà a ripetere quell’azione allo scopo di ottenere il premio. Il cane apprende dunque che sarà conveniente comportarsi in quel modo, per avere così il premio.
Gli umani non sono molto diversi, da questo punto di vista. Quando diamo ad un bambino una caramella per essere stato coraggioso, quello che gli stiamo insegnando non è ad essere coraggioso. Stiamo facendo qualcosa di ben più grave. Gli stiamo dicendo che le sue emozioni, le sue paure non hanno importanza, ciò che conta è cosa deve fare, e soltanto se lo farà otterrà un premio. Così cresce un individuo che non sa dare un nome alle emozioni che sente, non sa nemmeno che deve farlo, perché nessuno gli ha insegnato a capire cosa sono le emozioni. L’unica cosa che sa è quella di abbassare la testa, obbedire e puntare al premio.
Qualche tempo fa ho lavorato nelle scuole. Ricordo un ragazzo, che chiamerò (per rispettare la sua privacy) Alberto. Alberto non faceva nulla a scuola, era silenzioso, oppositivo, a tratti provocatorio. Ero lì per lui, per aiutarlo, per conoscerlo, per parlare con lui. Ho scoperto un ragazzo triste, perso, che non sapeva come esprimere il suo evidente bisogno di essere amato. Un giorno un suo insegnante, senza troppo nascondere un certo disprezzo, mi disse “quello non ha voglia di fare nulla”.
Un ragazzo come Alberto viveva già nella scuola del merito, dove sei un fallito e non ti meriti nulla, neanche il rispetto, se non ti adegui e soprattutto se non riesci ad adeguarti alle richieste di una scuola che non vede altro al di fuori dei programmi ministeriali, vecchi e inadeguati alle esigenze di sviluppo dei ragazzi di oggi.
Indipendententemente dall’orientamento politico, il “Ministero dell’istruzione e del merito” non è nient'altro se non un’espressione di una società incapace di capire, di empatizzare, incapace di permettere agli studenti di esprimere il proprio potenziale, capace invece solo di guardare al risultato e, come i cani di Pavlov, di adeguarsi al volere dei più forti.